COSA ASPETTARSI DAL NUOVO GOVERNO…


La-crisi-europea-Come previsto, le elezioni in Italia si sono chiuse in uno scenario di sostanziale ingovernabilità.

Da quello che si può capire, nessuna delle parti presenti in parlamento al momento ha una chiara visione della realtà che abbiamo di fronte.

Va bene la proposta di Beppe Grillo legata alla trasparenza nella politica ed alla fine dei privilegi della casta, ma non penso che questo sia l’unico problema.

Tutti i nostri principali indicatori economici sono negativi e di certo non è attraverso una maggiore trasparenza che si può ridare fiato a un sistema economico immobile.

L’attenzione è posta sul nuovo Presidente del Consiglio come guida per un Paese allo sbando e si ricerca in questa figura un punto di partenza per il rilancio del Paese; ma abbiamo una persona in grado di reggere tale onere?

Ma soprattutto, cosa aspettarsi dal nuovo Governo? Diamo uno sguardo a cosa succede oltre i nostri confini nazionali e confrontiamoci col resto d’Europa.

Di sicuro, c’è una differenza sostanziale nell’approccio al rigore ed alle politiche espansive. Oggi, il rigore imposto non ha raggiunto i risultati sperati. Anche in Inghilterra, una politica centralizzata sul taglio del deficit con un contenimento dei costi, sta fallendo miseramente poiché il Paese ancora non riesce ad uscire completamente dalla crisi.

Stessa cosa guardando alla linea politico-economica che la Germania pretende dai paesi europei; anche qui stiamo assistendo ad un fallimento senza precedenti dove il rigore imposto sui Bilanci degli stati è causa di una crisi sociale visibile e reale nei paesi soggetti:

  • Grecia: il costo (improponibile) imposto a fronte delle varie iniezioni di liquidità, è sfociato in un assalto a banche e negozi. Logicamente a queste notizie non viene data molta visibilità, poiché renderebbero palese che la crisi non è affatto finita e, anzi, ne è cominciata un’altra ben più evidente. Il solo Paese ad aver tratto benefici dal piano di finanziamento proposto è la Germania: le banche tedesche erano il principale acquirente dei titoli Greci perché riuscivano a trarne notevoli profitti. Oggi viene dichiarato che il Paese è sulla rotta giusta e che il finanziamento ha salvato l’Europa dalla catastrofe;
  • Spagna e del Portogallo: qui il dato allarmante è costituito dal livello di disoccupazione, pari a quasi un terzo della popolazione. In Spagna, nonostante il rifinanziamento del sistema bancario, non si vedono segni di ripresa. Anche in questo caso, il rigore tedesco impone che gli aiuti di stato siano finalizzati al risanamento, ma come questi paesi si possano risanare se un terzo della popolazione non ha denaro per vivere rimane un mistero.
  • Cipro: ultima gravissima vicenda, il prelievo forzoso su tutti i conti correnti, risparmi compresi, per racimolare 10 miliardi di Euro. La ragione di questa imposizione sarebbe legata al fatto che il Paese deve dare un segnale chiaro di accettazione del rigore per meritarsi questi aiuti. Tutto sarebbe legato all’incapacità del sistema di essere sia solvibile che liquido. A mio parere, sono tutte semplici lotte di potere: Cipro fra due anni metterà a regime il principale gasdotto d’Europa. Un giacimento con queste risorse non rappresenta una garanzia valida? Non sarà mica che si vuole mettere in difficoltà il paese per mettere le mani su tale enorme risorsa? Il prelievo forzoso sui conti correnti potrebbe costituire un precedente molto pericoloso.

Se guardiamo invece agli approcci legati alla ripresa mediante il rilancio della Spesa Pubblica, fattore che in periodi di recessione è possibile solo attraverso iniezioni di liquidità, vediamo che gli indicatori economici sono in ripresa e che, grazie ad una maggiore base imponibile e maggiore occupazione, si può contenere il Deficit e tagliare il Debito Pubblico.

Non voglio essere ripetitivo, ma se gli Stati Uniti, affogati da una recessione che sembrava non finire mai, avessero seguito l’ esempio del rigore europeo, dove si sarebbero trovati oggi?

Di sicuro, senza iniezione di liquidità nel sistema non ci sarebbe stato spazio per fare ripartire il Paese, visto che le banche americane, come del resto quelle europee, erano esposte nei mercati finanziari e pertanto non avrebbero avuto la forza di far ripartire l’economia, creando una spirale recessiva ancora più forte di quella vissuta.

Questo non è accaduto perché gli Stati Uniti hanno seguito calcoli reali: un sistema in crisi, per riprendersi, deve essere aiutato con gli strumenti necessari per partire come regole chiare, liquidità e una chiara visione politica.

Oggi lo scenario europeo rispecchia una situazione totalmente contraria a quella descritta: ci vorrebbe una chiara ammissione di fallimento poichè una moneta, da sola, non è uno strumento di politica economica non può condizionare le scelte economiche dei Paesi.

Ci era stato promesso che con l’avvento dell’Euro avremmo avuto un quadro economico caratterizzato da :

  • Meno inflazione, grazie a una moneta forte;
  • Minor costo del debito pubblico sostenuto dalla bassa inflazione con conseguente minor costo del denaro;
  • Maggiore forza commerciale dell’Europa nei mercati extra UE.

Insomma, ci avevano promesso un nuovo sistema, scaturito da 30 anni di boom economico. Qualcosa si è inceppata ed invece di un’accelerazione della crescita stiamo vivendo un declino vero e proprio.

Gli strumenti adottati stanno fallendo e si rende necessario un forte cambio di rotta attraverso:

  • Cambio del ruolo della Banca Centrale
  • Possibilità dei paesi di finanziare la crescita.

Dal mio punto di vista, questi sono i primi passi per far ripartire un sistema senza via d’uscita; bisogna avere il coraggio di affrontare la Germania ed i suoi partner facendo presente che la povertà sta aumentando e che la soluzione alla crisi non può essere raggiunta attraverso le politiche adottate fino ad ora. Le decisioni prese stanno andando palesemente contro la visione di un’Europa comune, basata sulla coesione sociale.

Tornando al nostro Paese, bisognerebbe sperare in un nuovo leader capace di guardare oltre berlusconismo e vecchie ideologie, dirigendosi nelle istituzioni europee e pretendendo una netta inversione di rotta: questa crisi si risolve solo attraverso una politica europea e non nazionalista.

COSA SUCCEDERA’?


fratelli-italia-586x390Siamo arrivati alla fine di una campagna elettorale. Come al solito polemiche, urla, parole, parole e ancora parole, ma neanche l’ombra di proposte concrete.
Tutti i principali schieramenti si presentano agli elettori e al Paese con ideee del tipo “tagliare di qua e dare di là”; in pratica ci stanno facendo capire che dopo un periodo di forte austerity è facile risanare il Paese.
Dov’erano tutte queste persone negli ultimi 10 anni?
La fine del Bel Paese verso cui si viaggia lentamente è testimoniata dalla mancanza di rinnovamento e di idee forti, capaci di innescare un processo di cambiamento e di far ripartire un paese gestito senza alcuna logica per un periodo di almeno 10 anni.
L’unica novità potrebbe essere rappresentata dal Movimento di Beppe Grillo che si caratterizza per avere preso una posizione nettamente in contrasto con un sistema immobile, ma che comunque presenta tanto populismo e troppe ovvietà, promuovendo una classe dirigente che, guardando all’Esempio di Parma, non ha prodotto molto.
Governare un paese non è semplice; uno stato è una macchina complessa, composta da tanti meccanismi ben coordinati (teoricamente) tra loro. La situazione attuale è bel lontana da questo idealtipo.
Tutto è fermo, tutto è vecchio.
Seguendo i programmi proposti, chi si presenta a governare non ha messo in evidenza questa situazione. Non si tratta di una semplice questione fiscale: bisogna capire cosa serve alle generazioni presenti e future e come siamo in grado di procurarlo.
Bisogna spiegare come si pensa di avere peso in Europa e lottare per evitare situazioni simili a quelle della Grecia:
La questione è semplice: non si possono imporre tagli alla spesa pubblica in un periodo di recessione. Il Governo tedesco, promotore di tale politica, farebbe bene a porsi una domanda: cosa sarebbe successo in altri sistemi, ad esempio negli USA, se fosse stata adottarta la medesima prospettiva?
Ecco come si è comportato Obama, per niente tedesco, per far sì che la crisi non degenerasse, uccidendo l’economia reale come in Europa:
Ha immesso più denaro nel sistema alzando il Deficit grazie alla FED;
Dall’altro lato ha innalzato il livello di Debito Pubblico per controllare l’economia
Così facendo, gli Stati Uniti, come del resto anche il Giappone, stanno ripartendo.
Non è concentrando l’attenzione su IMU e IRAP che aiuteremo il nostro sistema economico a riprendersi, ma un aiuto può pervenire solo da leadership forti, con una chiara visione globale della situazione reale, che cercheranno di dare un futuro di prosperità e speranza al Paese attraverso politiche sensate e mirate alla stabilità nel lungo periodo.
Rimango sconcertato dalle ultime dichiarazioni del Premier attuale: lui  dice che la crisi è finita. Beh, ci dica qualche cosa in merito al tasso di disoccupazione, alla percentuale di chiusura delle imprese, al blocco dei consumi, ai contribuenti che non arrivano a fine mese.
Nessuno commenta, nessuno dice più di tanto. La situazione attuale non scaturisce da 13 mesi di gestione tecnica, ma è legata ad una classe dirigente che negli anni è andata avanti  con  negligenza e inefficenza, al punto da scatenare la nascita di un movimento dal basso come quello di Beppe Grillo.
Sembra una follia: un comico attraverso un blog ha creato il secondo partito italiano senza spendere un centesimo in campagna elettorare, facendo leva esclusivamente sulla frustazione dei cittadini verso un sistema intorpidito che viene riproposto sistematicamente come speranza di cambiamento.
La spinta maggiore al movimento è stata data dall’assoluta mancanza di umiltà della vecchia classe dirigente (vecchia in ogni senso…) che continua a riproporsi per guidare un paese in caduta libera a causa delle scelte effettuate in passato dalle stesse figure che rivendicano il loro posto al Governo. Non ho mai sentito nessuno ammettere: “E’ vero, abbiamo sbagliato”.
In tutti i paesi del Mondo può capitare che i leader sbaglino. Altrove, quello che fanno è andare via, consentendo alla politica di riformarsi, rigenerarsi ed adeguarsi ai nuovi bisogni della società.
In Italia questo non è avvenuto: i partiti cambiano, i personaggi in essi restano sempre gli stessi.
Domani, Martedì 26 Febraio 2013, il Paese avrà una nuova maggioranza e presto un nuovo Governo.
Cosa sperare e per chi sperare? Personalmente non mi sento particolarmente legato a nessuno di questi pretendenti poiché tutti legati al fallimento del Passato.
Tale fallimento oggi ci porta ad essere considerati un paese piccolo e marginale. Quello che però mi auguro, indipendentemente da cosa succederà Martedì è che ci si allontani dalle prospettive illogiche che hanno caratterizzato l’ultimo decennio (tutti contro Berlusconi, tutti contro i “comunisti” etc etc). Pretendiamo risposte e proposte che concorrono esclusivamente al miglioramente del benessere nel nostro Paese.

PARLIAMO DI RIPRESA!


ripresa economicaCon il meeting organizzato da Comunione e Liberazione si riapre ufficialmente la stagione politica in Italia. Siamo nell’ultima fase del Governo Monti in attesa delle elezioni del 2013, come previsto dalla Costituzione.

Tirando le somme alla fine del meeting, ogni partecipante ha espresso la propria opinione su come dovrebbe essere implementata la fase 2:

 

  • Monti si concentra sull’evasione fiscale, dopo avere spiegato le importanti riforme introdotte in Italia durante il suo Governo;
  • Passera e Ciaccia parlano di infrastrutture e di sgravio dell’IVA nel settore. Passera parla dell’annoso problema delle tasse, ritenute da tutti troppo alte e dice che si dovrà prenderne in considerazione una riduzione. Finalmente qualcosa di nuovo.

Fuori dal meeting, anche il Ministro Fornero dice che il cuneo fiscale sulla busta paga è troppo alto.

Resto un po’ allibito da tali dichiarazioni. Sembra di riascoltare Fini, Casini, Bersani, Berlusconi & company, che assurdamente si riproporranno per il cambiamento del Paese. Dichiarazioni che sanno solo di politica, tentando di legittimare un secondo mandato.

Dov’è finito il “Governo Tecnico”? Quello che doveva rilanciare il Paese, farci uscire dalla crisi e farci ripartire?

Da un certo punto di vista, non c’è mai stato; tante parole e tante promesse andate perse nei meandri di un Parlamento gestito da una classe dirigente sciagurata, che ancora si propone per un cambiamento. Roba da ridire.

Sono stato in vacanza in Italia per un breve periodo, come le poche persone che ne hanno avuto la possibilità. Ho riscontrato una situazione da brivido:

  • Code alle pompe di benzina nei fine settimana: senza distinzioni di cilindrata, le persone erano in fila per risparmiare. Ricordiamoci che dal 2010 ad oggi il prezzo della benzina è passato da 1,2 Euro ai 2 Euro per litro toccati di recente (invito a verificare i dati del costo del greggio per rendersi conto della presa in giro quotidiana). Ricordiamoci che lo Stato incassa il 60% del prezzo pagato dai consumatori, ogni commento risulta superfluo;
  • Strutture alberghiere vuote;
  • Mare con bandiera nera su molte coste;
  • Località turistiche quasi deserte.

La tradizione italiana delle ferie ad Agosto sembra sparita.

Ma la cosa peggiore è che, parlando con la gente, si sente sulla pelle tanta incertezza e paura per il futuro.

Per riassumere, nessuno ambisce allo status di esodato ed essendo vicini all’età pensionabile, molti hanno paura di non riuscire a trovare un posto di lavoro che gli possa permettere di raggiungere la tanto sospirata meta.

L’Italia continua ad essere un paese privo di politica industriale, dove le eccellenze vengono “regalate” ad attori internazionali:

  • Bulgari;
  • Valentino;
  • Ducati;
  • Edison.

Sono solo alcuni degli esempi legati allo scempio di pilastri del nostro sistema, ceduti agli stranieri per pochi spiccioli.

Ho toccato con mano l’incertezza dei miei coetanei, spaventati dal fatto di non avere sicurezza; non si sa dove andare per poter lavorare e farsi un futuro. Ricordiamo a tutti il dato agghiacciante della disoccupazione giovanile. Non tutti hanno la possibilità di rischiare all’estero o di spostarsi per tentare sorte migliore in zone diverse da quella in cui sono nati.

Si riscontra forte incertezza anche negli imprenditori che decidono di restare, imprenditori che sono schiacciati da una macchina burocratica lenta, macchinosa e costosa che rende il nostro sistema economico pesante ed inefficiente.

A tutto ciò si aggiunge la difficoltà di accedere al credito, visto l’alto tasso che le banche pagano per comprare denaro. Tale tasso viene retrocesso con mark-up a quei pochi imprenditori che possono rispettare le regole di Basilea.

In un contesto del genere, non so come si possa dire che siamo usciti dalla crisi. Dal mio punto di vista siamo usciti solo dalle barzellette e dai Bunga Bunga, ma per il resto il Paese si trova in una situazione che non avrei pensato di dover commentare.

Ho sempre sostenuto che ci troviamo in momento di crisi globale; noi siamo colpiti dalla crisi dell’Europa e vari paesi sono in difficoltà. La situazione si rispecchia nelle forti turbolenze dei mercati finanziari con effetti immediati nell’economia reale.

Tuttavia, in Europa c’è anche chi ride: la Germania.

Tutti ammiriamo il sistema tedesco, esempio di efficienza con:

  • PIL positivo;
  • Aziende in crescita.

Tuttavia c’è un fattore incognito da considerare: che tasso ha il debito della Germania?? La risposta è chiara: quasi il 4,5% in meno rispetto all’Italia.

Se traduciamo questo numero come costi minori da sostenere, è più facile capire perché il Paese presenta numeri positivi e perché la Germania fa muro alle misure rivolte a stabilizzare gli spread e rilanciare l’economia attraverso iniezioni di liquidità.

Di sicuro loro sono stati più bravi di noi nel passato, spendendo e gestendo meglio.

Ma oggi, cosa fare?

Di sicuro, sostenere le azioni di Hollande: senza sviluppo non ci può essere ripresa. Per favorire lo sviluppo bisogna migliorare:

  • Accesso ai capitali;
  • Circolazione di liquidità.

La Germania si sta opponendo ad entrambe le azioni per non perdere la sovranità conquistata in un sistema che premia i più efficienti.

Detto questo, cosa dobbiamo sperare?

C’è molto poco da sperare nella classe politica italiana. Parliamo di persone che governano da 30 anni e che da 30 anni ripetono le stese cose. Diamo adito al Governo attuale per aver recuperato un po’ di credibilità a livello internazionale, ma per il resto è sempre tutto uguale: tante promesse con pochi risultati concreti. I dati numerici in tema di PIL e di disoccupazione non evidenziano successo, ma solo un ennesimo fallimento.

Volendo essere realisti sul futuro dell’Italia, dobbiamo sperare in uno scatto d’orgoglio nelle persone, sperare che da sole riescano a trovare la forza e la capacità, per poter ripartire.

Per riuscirci, vista la crisi globale che imperversa, c’è bisogno di anche di qualcosa in più. C’è bisogno di più Europa come motore di economia reale al fine di uscire realmente da questa crisi che ancora non presenta alcuna via di uscita.

TANTE PROPOSTE…TANTI COMPROMESSI


crisi econmica realeGli ultimi meeting di Roma e Bruxelles sembrano avere toni un po’ diversi rispetto al passato. Si parla di misure di sviluppo e di meccanismi finalizzati a dare stabilità ai mercati finanziari.

I numeri che circolano sembrano molto importanti: si parla di un ammontare complessivo di 130 miliardi di Euro. Tuttavia continua a restare in piedi il solito problema dell’Europa: in che modo allocare questo capitale e come gettare le basi per favorire i Paesi beneficiari nella restituzione del denaro preso in prestito?

Queste problematiche hanno caratterizzato e intasato l’agenda europea degli ultimi mesi; non esiste ancora una visione condivisa su quale sia la soluzione per uscire dalla crisi. La Germania, promotrice di una ripresa ottenibile solo attraverso politiche di rigore nei bilanci, si scontra con la visione di Francia e Italia, sostenitrici di un doveroso ammorbidimento nelle politiche di rigore, pena il passaggio da semplici fenomeni recessivi a ben più consistenti fenomeni depressivi.

Questi due approcci hanno caratterizzato gli incontri recenti fra i leader dei paesi europei, senza tuttavia sortire alcun effetto concreto, reale, efficace.

La teoria tedesca, che raggiunge concretezza nella situazione greca, nell’economia reale si scontra con l’impossibilità di ripartire a causa della mancanza di fondi disponibili per sostenere lo sviluppo; tutti i fondi sono stati destinati alla copertura del debito e al rientro del deficit.

L’altro approccio, materializzato indirettamente dal Governatore Draghi, cerca di inserire nel sistema bancario condizioni vantaggiose per creare denaro da investire, sperando che tali condizioni sostengano l’economia reale. Visto l’uso che le banche hanno fatto di tale denaro, sostenendo i debiti pubblici domestici, non si è verificata la scossa economica sperata. Entrambe le teorie si scontrano con la crisi quotidiana.

Non dimentichiamo la ricapitalizzazione delle banche spagnole completamente incagliate nella Bolla Immobiliare, riguardo cui non è ancora chiaro in che modo l’Europa deciderà di intervenire.

E’ evidente la necessità di una direzione precisa da sostenere a livello sia politico che economico. Il problema è che l’Europa non è un’entità politica individuale, né una federazione. L’unità dell’Europa non si manifesta con unanimità di intenti e obiettivi, ma solo con una moneta condivisa.

Lo status attuale comporta l’impossibilità di poter agire tempestivamente, come potrebbe uno stato sovrano, senza dover rendere conto ad un’entità esterna. Dall’altra parte, l’Europa stessa deve tenere conto dei pareri degli stati membri prima di potere legiferare.

Sembra ovvio che la situazione attuale non può funzionare: una decisione deve essere approvata attraverso troppi meeting. Tante chiacchiere e soprattutto tanti compromessi finali che producono indecisione ed minore efficacia.

La situazione attuale richiede soluzioni tempestive ed efficaci al fine di poter dare una speranza all’economia reale e fiducia alla finanza globale. Meeting e pranzi di lavoro dovranno sfociare in politiche di condivisione, pensando anche ad un ipotetico modello federale, stile Stati Uniti.

Invece di parlare di Euro Bond, Project Bond o vari fondi Salva Stati, sarebbe finalmente ora di dare un ruolo forte e preciso alla BCE: in qualità di Banca Centrale dovrebbe essere in grado di operare sui mercati con politiche monetarie espansive o recessive, in relazione al bisogno del momento. La politica dei prestiti è fine a se stessa, non può e non sarà in grado di far ripartire l’economia.

Non è una strada semplice da percorrere, ma adesso è necessario essere realisti e lavorare in funzione di questi traguardi che non saranno raggiunti domani, ma ciò non vuol dire che non si possano gettare le basi per il futuro.

Personalmente spero che:

  • Angela Merkel si renda conto che se un paese non ha denaro da investire, non si può pensare che questo possa ripartire, soprattutto se si impongono politiche orientate solo al contenimento dei conti pubblici ed al rientro del Deficit;
  • L’Europa tutta decida di sostenere lo sviluppo allocando al più presto altre risorse, in modo da favorire la ripresa degli investimenti, creare nuova occupazione e favorire una ripresa dei consumi e degli investimenti;
  • Si pensi dare concretezza al ruolo della Banca Centrale Europea prima che all’implementazione della la Tobin Tax, possibile assassino degli operatori finanziari europei a scapito di quelli Americani/Asiatici, già molto forti;
  • I paesi dell’area latina facciano un po’ di pulizia nel loro sistema di governance, (l’Italia è, purtroppo, un triste esempio), al fine di evitare che le risorse vengano dissipate nel nulla, con grave danno alla collettività ed alla credibilità del paese.

La lista potrebbe essere più lunga, ma si rischierebbe di ricadere ancora nell’economia idealtipica e visionaria; per riemergere realmente dall’oscurità economica contemporanea, bisogna restare ancorati alla realtà.

LE REGOLE DELLA FINANZA E GLI EFFETTI SULL’ECONOMIA


Finanza-Economia-RatingTutti abbiamo letto cosa si è verificato negli ultimi giorni all’interno della Banca JP Morgan, considerata fino a ieri la regina delle banche d’investimento poiché in grado di cavalcare la crisi, evitando statalizzazioni e massicci aumenti di capitale da parte dei soci.

Qualche giorno fa circolavano notizie secondo cui la banca avrebbe prodotto una perdita pari a 2 miliardi di Dollari, ma che potrebbe raggiungere i 4 a chiusura di tutte le posizioni.

Ma cosa è successo?

In base alle notizie riportate, una divisione della banca d’affari ha commesso un errore strategico; una posizione presa sul mercato allo scopo di proteggere la banca stessa si è tramutata in una pura e semplice speculazione.

Cerchiamo di capire, se ci riusciamo, come sia possibile che si arrivi a produrre perdite di tale entità e come possano verificarsi errori nei sistemi di controllo di una delle banche più importanti del Mondo (area Risk Management).

Seguendo le parole dell’Amministratore Delegato di JP Morgan, si da la colpa ad errori legati a una errata percezione del rischio!

Un colosso bancario parla di errata percezione del rischio, quando gli stessi strumenti hanno consentito alla banca di realizzare forti profitti fino a ieri.

Ma questi “prodotti” sono ben noti a tutti. Parliamo dei famosi titoli cartolarizzati legati a:

  • Mbs (Mortgage Backed Securities)
  • Abs (Asset Backed Securities)
  • Cds (Credit Defauls Swap)

Siamo bombardati da informazioni di questo tipo e non possiamo credere che specialisti di settore abbiano sbagliato solo per una percezione errata del rischio.

Si parla tanto di riforma di Wall Street, intesa come riforma della finanza, proprio per dare più senso alla Borsa e alla finanza dei mercati.

Penso che un buon punto di partenza sarebbe l’adozione di una regola come la Volcker Rule, tesa a separare l’attività tipica di una banca (fornire prestiti e sostenere l’economia) rispetto alle funzioni di una banca di investimento.

Di conseguenza, il denaro raccolto dalla banca tradizionale sarebbe gestito per ciò che giustifica l’esistenza di una banca, ossia favorire lo sviluppo dell’economia reale attraverso il sostegno in favore degli operatori economici. Tale scopo verrebbe separato da quello della “sezione investimenti”.

Oggi questo non succede. Questa regola viene sempre osteggiata dalla grande finanza; si ha bisogno di gestire le masse di denaro raccolto nelle forme che si reputano più opportune. In questo senso, la borsa e le operazioni speculative sono da sempre considerate una frontiera di successo.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: quando le banche perdono il denaro investito, esso non viene bruciato o vaporizzato come ci vorrebbero far credere, ma si sposta da uno speculatore perdente, in questo caso la banca, ad uno più bravo, diciamo un Hedge Fund, che mira proprio a questo.

Vista la situazione, i dibattiti hanno carattere alquanto acceso. Tuttavia, ritengo che non sia giusto criticare solo un aspetto del problema. Ciò che andrebbe rivisto è anche il ruolo delle agenzie di Rating, le quali ancora una volta escono sconfitte nella loro incapacità di giudicare i bilanci delle aziende e la consistenza dei prodotti emessi sul mercato.

Ricapitolando, le principali agenzie di Rating sono:

  • Standard & Poors
  • Moody’s
  • Fitch

Entrando nelle compagini societarie di queste aziende, a parte il caso di Fitch, notiamo che le quote azionarie di tali società sono detenute da operatori finanziari e che i nominativi delle aziende che hanno quote di capitale sono sempre uguali.

In S&P, il potere in campo finanziario viene esercitato in modo indiretto dalla società che la comanda, ossia la MC Graw Hill.

Guardando a Moody’s, l’azionista di maggioranza è la Berkshire Hathaway di Warren Buffet, quindi non un entità completamente indifferente ai mercati finanziari.

Perché ciò deve essere messo in evidenza? Conoscendo questa situazione nascono spontanee due domande:

  • Operatori con scopi speculativi possono dare giudizi il cui peso ha un impatto sull’economia reale?
  • Operatori che giudicano il mercato possono essere controllati delle aziende che operano nel mercato stesso? In che misura tale giudizio può risultare reale e super partes?

Purtroppo non sono in grado di fornire risposte inattaccabili, ma vorrei aggiungere che chi ha emesso giudizi in base ad un’analisi dello scenario, non solo non è stato in grado di percepire alcuna crisi, ma gode ancora oggi di totale credibilità nella sfera pubblica.

Nonostante i molti errori, non si può mettere in discussione il metodo di valutazione adottato, ma in un contesto come quello odierno, non si può ridurre iI Rating di un paese o di una società senza valutarne l’impatto sull’economia reale. Pensiamo all’intervento di Moody’s sul mercato italiano, dove tutte le principali banche sono state declassate. Quali sono state le conseguenze? Aumento diretto dei costi di autofinanziamento, con conseguente impatto diretto sul costo del denaro per cittadini e imprese.

Può un’entità privata avere questo potere con diritto? Come mai non è mai stato fatto nulla, neanche quando sono stati commessi errori clamorosi? Perché ancora oggi queste società hanno più peso di istituzioni come l’OCSE?

In questo scenario, in cui il giudizio di chi dovrebbe garantire una maggiore trasparenza in un periodo di forte instabilità viene adulterato da dinamiche nascoste, c’è da chiedersi se il sistema abbia davvero bisogno di questo tipo di servizio per andare avanti.

Ritengo che senza un’azione forte sul ruolo delle Agenzie di Rating e sul modo in cui le banche debbano amministrare i loro fondi, ci sarà sempre continua turbolenza e incertezza.

Il motivo è semplice, come insegna in parte JP Morgan: in passato, mentre tutti perdevano, loro erano bravi a guadagnare proprio perché, come al casinò, vince chi scommette sui numeri giusti.

Ma non si può vincere sempre…

SEGNALI DI FUMO…


segnali di fumo italiaDopo quasi 6 mesi dall’insediamento del nuovo Governo tecnico, mi sembra doveroso fare un piccolo rendiconto non solo rispetto alle azioni intraprese, ma anche in relazione ai progetti in via di sviluppo.

Con l’arrivo del Professor Monti, di sicuro l’Italia ha riacquistato un po’ di quella credibilità logorata dalle troppe barzellette e dagli scandali che avevano colpito e affondato il Governo Berlusconi. Abbiamo riguadagnato il nostro posto nei meeting che contano e sembra che le borse, pur senza lo stimolo di un miglioramento nel Debito Pubblico e nel Pil, comincino a premiare i Titoli di Stato italiani, con un abbassamento degli Spread.

Come al solito, la stampa e la politica italiana fanno blocco; si arriva ai soliti slogan che hanno caratterizzato da sempre la scena politica italiana. Nell’immaginario di tutti gli italiani, Monti era il salvatore di una Patria in declino.

Il Governo Monti si distingue da quelli precedenti per avere al suo interno Ministri di pura matrice tecnica, esperti nelle materie pertinenti alle loro nuove competenze. Tutti sono soddisfatti perché, per la prima volta, chi occupa una poltrona di Governo sa di cosa si sta parlando. Non ci si dovrà più affidare a consulenti strapagati.

Tutto fa sperare che il Paese guidato da Monti, uomo rigoroso per il suo passato professionale, possa uscire dal baratro.

Gli italiani accettano, in modo passivo e per il bene della collettività, una prima Finanziaria, caratterizzata dall’innalzamento dell’età pensionabile: tutti hanno visto il Ministro Fornero in lacrime perché dispiaciuta dell’azione intrapresa.

Sono stati messi in campo aumento dell’IVA, accise sulla benzina, IMU, altre tasse e tanti nuovi balzelli a carico di imprese e persone fisiche.

Monti giustifica la manovra dicendo che senza i provvedimenti intrapresi, avremmo fatto la fine della Grecia. “Salvare l’Italia” era la prima fase del mandato del Presidente Monti; la seconda fase sarà basata su sviluppo e ripresa.

Tutti ad aspettare impazienti la fase due, annunciata dalla riforma del lavoro che avrebbe dovuto contenere importanti novità sull’articolo 18.

Non voglio commentare la questione relativa all’art.18 poiché sarebbe ripetitivo, ma dico solo: tanto rumore per nulla. In Parlamento non è ancora passato nulla in materia di mercato del lavoro. Cosa molto preoccupante, è che tutto è in mano ai nostri parlamentari.

In questo stesso periodo “emergono” gli scandali sui finanziamenti ai partiti. Viene coinvolto addirittura il partito di Roma Ladrona, saltano fuori diamanti, conti in Tanzania, lauree comprate e tanto altro ancora.

Tutti con gli occhi a Monti, sperando in un provvedimento urgente per recuperare credibilità e giustizia, soprattutto in rispetto dei vari balzelli che gli italiani pagano ogni giorno. Invece nulla, la politica fa scudo.

Era stato detto che non sarebbe stata incassata l’ultima tranche dei finanziamenti elettorali (circa 150 milioni di Euro), ma come al solito nulla di fatto. Andando sul sito del Corriere della Sera troverete un link interessante in merito a politica e trasparenza, ennesima finta promessa da parte dei nostri politici.

In questo scenario, la situazione non è affatto rosea:

  • PIL Negativo;

  • Tasso di disoccupazione alle stelle (per non parlare del dato su quella giovanile);

  • Aumento dei fallimenti e della chiusura di imprese.

Non voglio commentare le azioni estreme intraprese da gente disperata, ma voglio sottolineare che il nostro Governo, caratterizzato da esperti di settore, oggi non ha ancora prodotto alcun risultato, né preso provvedimenti che legittimino la scelt di affidarti ad un governo tecnico.

Sembra che si stia seguendo la solita strada: alle prime difficoltà si alzano le tasse e la benzina.

Oggi la situazione è molto grave. Leggo con fervore che, dopo avere sostenuto a spada tratta la strada maestra dell’austerity, finalmente si menziona lo sviluppo, ricordando che la crescita può partire solo con gli investimenti. Tali investimenti possono essere predisposti solo dallo Stato.

Si spera nell’impegno del Governo in Europa per far sì che si vada oltre il Fiscalpakt, poiché le imprese hanno bisogno di poter operare senza il rischio del fallimento con conseguente perdita di posti di lavoro, dramma quotidiano soprattutto per i non più giovanissimi.

Probabilmente si dovrà aprire uno scontro in Europa, ma il compito del Governo tecnico dovrebbe essere quello si far capire ai politici che per una ripresa economica, è necessaria una disponibilità di risorse; efficienza e razionalità nella gestione devono essere imposte, soprattutto per noi paesi latini. Spero si riesca a spianare la strada degli Eurobond, almeno come soluzione immediata.

I recenti risultati elettorali impongono una riflessione. Le svolte populiste ed i cambiamenti di schieramento richiedono una presa di coscienza: sono necessarie azioni che garantiscano sviluppo e crescita, pena una ricaduta in una fase buia del passato.

Non è più possibile pensare che lo sviluppo possa essere favorito solo attraverso un’azione di risanamento, soprattutto se caratterizzata da politiche fiscali repressive.

Pertanto, alla luce dei recenti dati elettorali, non bisogna pensare solo agli Eurobond, ma anche ad una stabilizzazione delle politiche economiche in Europa:

  • Modificare il ruolo della BCE, ossia trasformarla in una normale banca centrale;

  • Imporre politiche di bilancio rigorose in area europea, superare Maastricht mediante nuove norme che impongano un maggiore controllo da parte di Commissione o Parlamento Europeo sulle finanziarie nazionali.

Concludo dicendo che la figura professionale di Enrico Bondi, potrebbe avvalersi dell’aiuto che i media possono offrire nel campo. Tutti abbiamo visto i servizi sugli sprechi condotti da programmi come “Striscia la Notizia” o “Le Iene” e aprire un dialogo con i giornalisti potrebbe certamente aiutare l’individuazione dell’utilizzo improprio del denaro pubblico. L’esistenza di enti inutili, consulenze non necessarie, spese fuori controllo delle regioni e problemi nella gestione degli appalti è sotto gli occhi di tutti: da anni si produce una letteratura quotidiana.

L’invito ai cittadini a segnalare gli sprechi sembra una presa in giro. Non possono essere i cittadini a segnalare, ma dovrebbe essere la politica a dare un segnale forte di cambiamento, agendo dove bisogna agire.

Di sicuro Enrico Bondi metterà il massimo impegno professionale per il conseguimento dello scopo, ma c’è sempre il dubbio che si ricada nella solita situazione: tanto fumo, ma poca sostanza.

I problemi continuano a rimanere irrisolti: la speranza è che magari si riesca ad avere un impatto più forte nei prossimi mesi, attribuendo al Governo un ruolo che al momento risulta essere del tutto simile a quello già visto in passato.

LA STORIA SI RIPETE


EuropeCrisisNell’ultimo articolo pubblicato su questo blog era stato sottolineato il fatto che, finiti i brindisi ed i complimenti per i traguardi raggiunti, due problemi impellenti sarebbero inevitabilmente riemersi: Spagna e Portogallo.

Non è stato deciso ancora nulla. Tuttavia, ripetendo per intero gli errori fatti con la Grecia, alla Spagna sono stati imposti tagli per circa 27 miliardi di Euro, necessari a soddisfare le richieste dell’Europa. Esattamente come avvenuto per la Grecia, al raggiungimento degli obiettivi seguirà un’emissione di denaro verso il paese, aumentandone ulteriormente il debito.

Ci saranno nuovi meeting, nuove foto e nuove feste, ma il contesto purtroppo non cambierà; come appurato recentemente, le misure finanziarie attuate non condurranno ad una ripresa.

Abbiamo evidenziato la scorsa volta che uno dei limiti dell’Europa è legato al ruolo della BCE, frenata nell’agire da Banca Centrale e quindi incapace di stampare denaro.

Tale situazione è destinata a peggiorare ulteriormente: i fondi utilizzati in favore delle banche sono finiti ed il sistema rischia di bloccarsi nell’incapacità di sostenere la domanda interna dei titoli di debito pubblico.

Le conseguenze saranno:

  • Aumento degli Spread;

  • Aumento del Deficit Interno;

  • Aumento del Debito Pubblico.

Sulla base di questo scenario come ci si dovrebbe muovere? Non essendoci nulla di chiaro, ognuno in Europa deve crearsi una strada; si va alla ricerca di partners.

L’Italia, riprendendo una missione attivata dall’allora ministro Tremonti, si ripresenta in pompa magna ai cinesi dicendo che:

  • L’Italia è fuori dalla crisi;

  • L’Italia ha un mercato del lavoro nuovo e riformato;

  • L’Italia ha un’economia in ripresa.

Dopo aver preso atto di queste informazioni, sono andato alla ricerca di alcuni dati, scoprendo che:

  • Siamo in piena recessione (-2%) ed il Ministro dello Sviluppo Economico ha dichiarato che l’Italia sarà in recessione per tutto il 2012;

  • Il settore delle auto, anche a seguito delle splendide misure sulle auto di lusso, ha fatto registrare un bel -30%;

  • La disoccupazione giovanile ha raggiunto quasi il 30%;

  • La disoccupazione è in totale quasi al 10%;

  • La riforma del lavoro non ha prodotto molti risultati:

    • Il giudice ha sempre l’ultima parola;

    • Nel caso dei licenziamenti per ragioni economiche, sono dovuti 2 anni di indennizzo.

Rileggendo queste cose mi domando: in che paese viviamo?

Chi ci gestisce è un po’ lontano dal paese reale in cui la gente comune, a seguito della mancanza di liquidità nel sistema, non può pianificare un futuro.

Sembra che tutto ruoti attorno all’articolo 18, ma è tutta una farsa: il lavoro si tutela solo se esiste e se esistono anche le condizioni per poter andare avanti. Nel nostro paese si produce tanta aria fritta e dopo aver svenduto tutto ai francesi, per garantirci la sottoscrizione dei titoli di Stato, si va in Cina a barattare qualche partecipazione strategica o magari qualche altro distretto industriale.

Mi domando se tutto questo abbia senso in un paese in cui chi governa è lontano anni luce dalla realtà, sofferta da chi in Italia ci deve vivere e lavorare veramente.

Ho sempre ribadito che questa è una crisi globale e che, come tale, deve essere affrontata su dimensioni analoghe. In questo caso l’Europa deve essere in grado di fare l’Europa.

Una risposta a queste problematiche risiede nel passato. Guardiamo ai fenomeni depressivi che hanno caratterizzato il ‘900: situazioni simili sono state risolte grazie a forti iniezioni di liquidità da parte degli stati attraverso due leve:

  • Immissione di nuova moneta nel sistema, con conseguente svalutazione;

  • Emissione di nuovo debito per sostenere la Spesa Pubblica e quindi far ripartire consumi e investimenti

Ma l’Europa si rifiuta di prendere coscienza di queste possibili soluzioni per pura tattica politica. Ne è un esempio l’ultima mossa della Germania, la quale decide di garantire il fondo EFSF per un totale di 280 miliardi sui 700 disponibili. La Germania decide di prendere la guida di questo meccanismo inefficiente, ad oggi unico ombrello della crisi europea.

Questo meccanismo ha già dimostrato la sua debolezza: non è stato in grado di attivare dinamiche in favore di una ripresa. Tali dinamiche non possano essere ricercate negli accordi con l’oriente.

Concludo riprendendo quanto dichiarato dall’economista francese Jean Paul Fitoussi; se l’Europa vuole uscire dalla crisi, deve favorire lo sviluppo della domanda degli stati e questa può essere sostenuta solo attraverso la messa in circolazione di nuova liquidità. Considerando i tempi lunghi per riformare la Banca Centrale Europea, l’unica strada risiede nella messa sul mercato dei Bond Europei.

Curiosi di assistere agli sviluppi.

VERSO UN FUTURO INCERTO…


incertezzaPassata l’euforia dell’accordo raggiunto sulla Grecia, cerchiamo di capire concretamente a cosa ha portato l’accordo in questione.

Di certo è stata riscontrata una riduzione dell’esposizione debitoria complessiva e si è arrivati ad un Haircut/Default Pilotato che, celato dietro brindisi, flash e sospiri di sollievo, rappresenta il più grosso fallimento pilotato della storia.

Mediante il raggiungimento dell’accordo con i creditori, è stata raggiunta una riduzione del debito della Grecia pari al 53,5%.

L’Europa ha mentito dicendo che uno scenario del genere sarebbe stato apocalittico o catastrofico, per poi trovarsi a festeggiare dopo due anni, affermando che siamo di fronte ad un “grande traguardo”.

Ma a questo punto nasce spontanea una domanda: cosa sarebbe successo se questa decisione fosse stata presa 2 anni fa?

Di certo la Grecia non avrebbe dovuto fare i conti con una crescita continua ed esagerata del deficit interno e degli spread che hanno impattato pesantemente sul debito pubblico, facendolo crescere del 50% negli ultimi 2 anni.

Tuttavia, questo non è l’unico aspetto da considerare. Sono stati imposti vincoli pesantissimi alla Grecia, che avrebbero dovuto produrre risultati comunque troppo marginali rispetto ai numeri in gioco (una per tutte, l’ultima imposizione di tagli per 350 milioni di Euro che ha dato vita alle rivolte dell’ultimo periodo)

Potremmo allora chiederci: a chi sono serviti questi passaggi totalmente inutili? Era necessario “dare una lezione” ai greci?

Certamente non si poteva far finta di nulla davanti ad un modello di gestione della cosa pubblica che ha portato la Grecia a generare un sistema al di sopra delle possibilità del proprio tessuto produttivo.

Ma questo risultato mette in evidenza la scarsa forza e concretezza delle istituzioni europee nella gestione di una situazione critica.

Pensiamo ai continui meeting e alle varie dinamiche guidate dalla voglia di primeggiare di alcuni stati europei. Il risultato finale è stato l’allungamento delle tempistiche, contro una soluzione più vicina, efficace e immediata.

Queste dinamiche stanno anche portando nuove tensioni principalmente in due paesi: Spagna e Portogallo.

La situazione del Portogallo presenta caratteristiche molto simili al contesto greco. Gli istituti lusitani, stanno prendendo in prestito circa 48 miliardi di Euro sfruttando i programmi a breve termine della BCE, denaro che non proviene né dalle LTRO, né da prestiti dalla Banca Centrale portoghese. Una bella cifra a fronte dei numeri delle principali banche del Paese:

  • Banco Espirito Santo: market cap di 2,3 miliardi di Euro e assets totali per 80 miliardi;

  • Banco Comercial Portugues: 1,2 miliardi di Euro di market cap e asset totali per 94 miliardi;

  • Banco BPI: market cap di 0,5 miliardi di Euro e assets totali per 43 miliardi;

  • Banif: market cap di 0,2 miliardi di Euro e assets per 16 miliardi di euro.

Le quattro più grandi banche portoghesi possiedono un totale di 4,2 miliardi di market cap e 233 miliardi in assets. Essendo questi istituti gli unici beneficiari dei 48 miliardi in prestito della BCE, il 20% del loro finanziamento è direttamente legato a programmi dell’Eurotower, LTRO escluso.

Uno scenario decisamente già visto a cui si unisce il fatto che, come per la Grecia, la BCE detiene molti bonds lusitani acquistati attraverso il programma SMP. Tali bonds viaggiano a prezzi scontati rispetto al valore facciale, pur essendo per la maggior parte denominati in diritto lusitano e non inglese. Esattamente come per la Grecia dello scorso Agosto, oggi il bond decennale lusitano prezza circa 50 centesimi e paga un rendimento del 13 per cento e, proprio come per le banche greche, quelle lusitane sopravvivono grazie ai prestiti della BCE (e forse della propria Banca Centrale attraverso l’ELA, sempre legati alla BCE).

La Spagna invece si trova nel seguente scenario:

  • Rapporto Deficit/PIL 8,5%

  • Tasso di disoccupazione quasi al 30%

  • PIL in fase recessiva

Inoltre, il Primo Ministro spagnolo ha dichiarato di non volere accettare le condizioni imposte dal Fiscal Impact, in cui gli si impone di ridurre il Deficit entro fine anno ad un rapporto pari al 4,8%.

La scelta viene giustificata dicendo che tale imposizione rappresenterebbe una violazione della sovranità nazionale e pertanto si sostiene che in un momento di recessione non sia possibile fare leva sui tagli interni, pena l’impossibilità di implementare azioni atte a favorire la ripresa.

Possiamo quindi individuare una situazione generale poco rassicurante:

  • Scenario macroeconomico pessimo

  • Borse ai massimi, basta guardare Wall Street

  • In alcuni Paesi, tipo Italia in piena recessione, gli spread scendono a valori costanti.

Considerando ciò, cosa pensare? Che senso ha imporre i vincoli del Fiscal Impact in un momento di piena recessione? Come si pensa di sostenere una ripresa economica se non si ha la possibilità di poterla alimentare attraverso fonti di finanziamento disponibili?

Di certo l’Europa deve rivedere il suo stato sociale, aumentare la produttività e riprendere politiche di investimento; ricorrendo a politiche repressive nate da poca lungimiranza non si potrà mai attivare un meccanismo di ripresa esponenziale.

L’esperienza della Grecia ci insegna che una presa di coscienza immediata dello status economico non può fare altro che apportare vantaggi in termini di programmazione strategica per la ripresa. Nel caso della Grecia vediamo:

  • Meno debito pubblico, poiché il contenimento del deficit causa minori interessi sul debito stesso

  • Lo spread resta a valori stabili poiché i debiti sono garantiti dalle istituzioni sovranazionali

  • Il deficit non sale perché i costi del debito saranno mantenuti grazie all’azione sullo spread.

Le esperienze passate possono aiutare a trovare soluzioni ai problemi presenti, evitando un impatto troppo marcato sulla popolazione. Aggiungerei che se guardassimo alla situazione di alcuni altri paesi, potremmo trovare spunti interessanti per superare le debolezze europee: come fanno Stati Uniti e Giappone a superare i loro problemi in tempi di crisi, pur avendo in bilancio debiti pubblici più grossi in valore assoluto?

La risposta risiede nel ruolo della Banca Centrale e nella sua capacità di produrre moneta, riducendo le tensioni sulla domanda dei titoli di debito pubblico e quindi sugli spread.

Tutto questo in Europa non avviene, si preferisce riconoscere alla nostra Banca Centrale una funzione che non va oltre la vigilanza sull’inflazione, a cui si aggiunge di recente la possibilità di prestare denaro agli istituti bancari a tassi agevolati.

Se vogliamo che l’Europa acquisisca nuovamente credibilità e stabilità, i passi da percorrere devono portarci verso:

  • Controllo maggiore del Debito Pubblico Europeo/Bond Europei

  • Ruolo da Banca Centrale reale della BCE.

Se l’Europa continuasse a non percepire questi due obiettivi come indispensabili, il tasso di instabilità sarebbe l’unico fattore destinato a crescere

UN PO’ DI CHIAREZZA


chiarezza-europaPrendendo spunto dalle recenti dichiarazioni del Ministro dell’Economia tedesco, il quale comunica la necessità e l’urgenza di procedere con una consistente capitalizzazione del Fondo Salva Stati per garantire maggiore stabilità nei mercati, cerchiamo di fare un PO’ DI CHIAREZZA sulla situazione attuale, attraverso il pratico strumento FAQs.

Come si alimenta il Fondo Salva Stati?

Mediante i contributi dei singoli paesi membri.

Qual’è lo scopo del fondo?

Garantire la stabilità del sistema Euro contro potenziali rischi di default finanziari di in uno dei paesi membri.

Come fanno i paesi membri a sottoscrivere il fondo?

I paesi sottoscrivono tramite l’apporto di nuovo capitale, reperito mediante l’immissione sul mercato di nuovi titoli di Debito Pubblico. Ciò si traduce in maggiore Debito Pubblico per i singoli Paesi Europei.

Chi sottoscrive il nuovo Debito?

I principali sottoscrittori sono gli investitori istituzionali, ovvero le Banche.

Qual’è lo scenario attuale?

Le banche, per garantire una piena copertura del sistema, ottengono prestiti agevolati da parte della Banca Centrale Europea. Tramite questo denaro, le banche riescono a sostenere l’emissione di nuovo debito per i singoli stati sovrani (di recente c’è stata una nuova emissione da parte della BCE di 529,30 miliardi di Euro, con un tasso di interesse annuo dell’1% che le banche dovranno pagare alla restituzione).

A chi conviene tale situazione?

Le banche si trovano in una posizione di assoluto privilegio in quanto creano profitto sulla base del differenziale positivo tra il denaro da pagare alla BCE e quello ricevuto dagli stati attraverso la sottoscrizione del nuovo debito pubblico.

Quali sono gli obiettivi di questa politica?

Attraverso questa manovra della BCE, si procede all’emissione di nuova moneta per:

  1. Ridurre le tensioni sulla domanda di Titoli di Stato attraverso la creazione di un bacino stabile di operatori istituzionali in grado di sottoscrivere il nuovo debito;

  2. Ridurre le tensioni sugli spread, in modo da garantire ai paesi europei un contenimento nei costi da sostenere all’emissione di nuovo debito, allo scopo di avere un’effetto positivo sia sul deficit che sul debito pubblico.

Tuttavia, questo scenario presenta delle debolezze legate alla mancanza di una vera ripresa economica che, in Europa, tarda ad arrivare. Si riscontrano invece fenomeni recessivi figli della crisi finanziaria, in cui le banche usano i capitali a disposizione per sostenere i debiti pubblici ed incrementare il proprio patrimonio, precedentemente ridotto dalla crisi.

Il sistema attuale non è in grado di ripartire e la crisi ha una dimensione sempre più capillare su tutta l’economia reale, anche perché molti paesi denotano forti rigidità burocratiche che non consentono di poter agire con la massima efficacia.

Pensiamo alla questione dei salari, concentrando per un attimo la nostra attenzione sul dibattito italiano.

Personalmente, continuo a sostenere che il nostro sistema contrattualistico sia superato che non sia più in grado di soddisfare il tempo in cui viviamo. Non ritengo sensata una battaglia contro l’articolo 18, anzi si dovrebbe parlare esclusivamente meritocrazia e di incentivi tesi ad aumentare il legame tra impresa e lavoratori, il tutto unito ad una riorganizzazione del Welfare che aumenti il benessere dei lavoratori, visto l’obbligo di andare in pensione a quasi 70 anni.

Ci si deve rendere conto che il modello sociale è cambiato. Prima era necessario tutelare le persone guardando al loro futuro; oggi è doverosa una ridistribuzione del reddito accentuata sul presente.

Prendendo spunto dal modello inglese, ad ogni lavoratore dovrebbe essere permesso di definire il proprio piano pensionistico. In tal modo si disporrebbe di più liquidità disponibile per i “giorni di pioggia”, che ultimamente sono diventati davvero tanti.

Alla luce di quanto discusso quali soluzioni adottare?

Di certo sono necessarie manovre mirate a risolvere la questione del debito greco. Se si procedesse implementando un default pilotato, che comporterebbe una negoziazione con i creditori della Grecia (le banche), si porrebbe fine all’incertezza economica e si farebbe chiarezza su un dato reale. Misure di contenimento dei costi da parte delle Grecia non potranno mai essere attuabili se il debito ha un interesse annuo pari al 30%.

Risolvendo la questione della Grecia, l’Europa darebbe un segnale di unità e di realismo scavalcando le logiche unilaterali dei singoli paesi. Questo rappresenterebbe il primo passo verso la coesione fiscale, necessaria per evitare situazioni simili in futuro.

Con una coesione fiscale vera, non più quella fallimentare di Maastricht, i paesi perderebbero un po di sovranità politica, a vantaggio di una maggiore stabilità del sistema generale; i problemi dell’Europa dovrebbero essere affrontati dall’Europa tutta.

Ansiosi di conoscere gli sviluppi.

NUBI SUL FUTURO


incertezza-europa greciaNegli ultimi giorni, i giornali ed i media si sono concentrati molto sul discorso Grecia: il Parlamento ha deciso di accettare le condizioni imposte dall’Europa, consentendo lo sblocco di nuovi fondi per evitare una crisi di liquidità che il Paese avrebbe dovuto affrontare in data 15 Marzo, giorno in cui è fissata la scadenza del debito dello stato greco verso i creditori, ovvero le banche.

Ecco una breve analisi dello scenario economico e finanziario:

  • Valore del Debito Pubblico pari a 300 miliardi di Euro

  • Rapporto tra Debito e Prodotto Interno Lordo pari al 140%

  • PIL testimone di recessione, poiché risulta essere -4,0%

Questi sono dati importanti, tuttavia non sono gli unici da analizzare: c’è da dire che la Grecia paga un premio del 30% sui suoi titoli decennali; per ogni Euro di debito, la Grecia dovrà ripagarne 1,3. Nell’economia reale, tali cifre ci porterebbero a dire che il soggetto in questione è indubbiamente in fallimento, senza alcuna possibilità di ripresa.

Aggiungiamo a tale scenario le nuove misure imposte dall’Europa, obbligatorie per lo sblocco dei nuovi aiuti finanziari e rendiamoci conto che, per molti versi, il tutto sembra una grossa presa in giro.

Come può un paese tecnicamente fallito riuscire a sopravvivere, soprattutto se alla sua popolazione vengono tolti i mezzi per sostenersi?

E’ assurdo scaricare sui cittadini le colpe di una gestione dello stato scellerata, specialmente quando, negli anni precedenti, i vari organismi europei che oggi additano il paese non avevano preso alcuna posizione sulle politiche clientelari sostenute dalla Grecia che oggi hanno sortito il loro effetto.

Non è stato implementato alcun intervento, si è lasciato fare ed oggi si mette in ginocchio una popolazione che, anche con il nuovo finanziamento, non riceverà nessun beneficio, neanche in termini di prospettiva di crescita: tale denaro servirà a ripagare le banche tedesche e francesi (che hanno in portafoglio più o meno 90 miliardi di Euro), veri attori delle dinamiche responsabili della situazione attuale.

La cornice è allarmante, ma le maggiori preoccupazioni risiedono nel fatto che, in questi anni, le classi politiche europee hanno sostenuto il sistema facendo ricorso a politiche di indebitamento non efficienti. Testimone di ciò, quello che avviene in Italia: il Bel Paese giustifica il debito con la volontà di sostenere investimenti e sviluppo, ma poi tutto finisce in sprechi e nulla di fatto.

Questa politica, o meglio questa assenza di politica, ha portato negli anni vari scompensi, sostenuti dalla continua evoluzione dei mercati finanziari.

Oggi si guarda alle imprese come uniche entità in grado di produrre del profitto, profitto che dovrà essere girato in favore degli azionisti.

Da questa nuova logica scaturiscono fenomeni ricorrenti:

  • Delocalizzazione produttiva delle grandi imprese

  • Distribuzione di profitti da parte delle stesse in favore dei soci

  • Riduzione della forza lavoro nei paesi di origine con effetti sulle classi medie.

I casi sono molteplici, basti guardare al settore dell’elettronica; tutto viene delocalizzato verso Est. Riduzione dei costi e flessibilità del lavoro stanno alla base di questa migrazione verso il sol levante. Ma guardando all’ultima inchiesta del New York Times sulla Foxtone, scopriamo che tale “flessibilità” è data da nuove forme di schiavismo che portano a creare, anche ad Est, nuove povertà; le classi lavorative non vengono remunerate in misura tale da potersi permettere un naturale innalzamento sociale.

Dall’altro lato l’Europa, per controbattere alla crisi e mettersi in pari, corre in forma sciolta e disunita:

  • L’Italia si concentra sull’evasione fiscale e sugli scontrini senza pensare che, se non si rende il sistema flessibile e competitivo in breve tempo, si rischia l’implosione del sistema stesso. Mi associo alle parole del Governatore della Banca D’Italia, che invita i banchieri a fare il loro mestiere, aiutando lo sviluppo delle imprese e non solo facendo gli operatori di borsa;

  • La Francia si concentra sulla Tobin Tax, dimenticandosi che le transazioni nei mercati sono globalizzate e che pertanto un’introduzione di un’imposta di questa portata, se non negoziata su scala globale, non può che danneggiare il tessuto economico europeo;

  • La Germania cerca assiduamente di imporre il proprio rigore, tralasciando il fatto che se il ruolo della Banca Centrale Europea non cambierà presto, lo scenario diventerà insostenibile: oggi la Banca Centrale Europea è l’unica Banca Centrale al Mondo a non pter acquistare debito sovrano. Ciò rende la moneta unica debole ed i vari paesi sotto scacco continuo delle agenzie di rating

Lo scenario è incerto, gli aiuti sembrano ancora in stand-by e la Grecia risulta non essere credibile nei suoi progetti di riforma.

Domanda da un miliardo di Dollari: cosa fare?

Ho espresso più volte il mio parere e ritengo che un default pilotato, negoziando con le banche una perdita accettabile, rappresenti l’unico scenario per porre fine ad una situazione che presenta aspetti profondi e complicati.

Spero che si parta con proposte sensate per favorire dei cambiamenti reali (una fra tutte, l’idea del Governatore Draghi di abolire i giudizi delle agenzie di rating sugli stati sovrani, per evitare turbolenze e incertezze nei mercati) e che, non parlando più di quella finanza che ultimamente riempie le agende politiche, si ponga l’accento su crescita e sviluppo, pensando alla tutela di determinati tessuti economici e sociali che oggi, le logica della finanza stessa, ha portato ai margini.